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Città Alessandrina

CITTÀ: Roma, Italia
COMMITTENTE: Comune di Roma
TIPO DI CONCORSO: Concorso di progettazione
DESTINAZIONE D’USO: Centro culturale
ANNO: 2007

PROGETTISTI
Cesare Corfone, Maikel Menendez Gonzalez, Hugo Marquez Fong, Luciana De Girolamo, Pierpaolo Troiano, Roberto Damiani

L’immagine proposta è quella di uno spazio urbano che apre varchi, si espande, si eleva e poi ridiscende, con l’intenzione di liberare questo grande spazio aperto. Un torrente sotterraneo, che riemerge, si espande, invade la città in maniera non prevedibile. È modellazione del suolo, plasticità della forma che crea diverse superfIci sia per quanto riguarda il materiale, che per gli usi e le dimensioni. Come una forra, un canyon provocato dall’erosione fluviale che incide la roccia compatta, che si fa spazio canalizzando le acque; così il duro terreno viene attraversato da un taglio che lo solca, scavato da flussi dinamici che lo attraversano e si estendono; là dove lo spazio ne offre l’opportunità, diviene permeabile e connessione modellabile. È un’incisione nel suolo, una lacerazione nella quale si aprono grotte nascoste, come dentro un’antica civiltà di un passato lontano che rivive in forma diversa.
La cavità che si apre nel terreno in modo quasi naturale, non è un elemento di divisione, ma bensì di unione, di collegamento, inteso come unico dialogo possibile, paragonabile ad un grande patio lineare che si apre nell’intimità della domus romana. E’ unione di tutte le realtà che vi convivono. Il centro culturale diviene una sorpresa, una scoperta nel difforme contesto con il quale dialoga; mentre l’Acquedotto Alessandrino domina il paesaggio intero con tutta la sua mole e il suo peso; l’intervento proposto vuole porsi in continuità con il paesaggio, non distoglie l’occhio dall’antico, ma lo attira naturalmente verso il suo polo, in cui il patio-taglio ne è l’anima in cui le funzioni si dispongono come cavità naturali, un effetto carsico del terreno. È uno scontro-incontro in un’area che è tutta potenza contraddittoria, il più e il meno si uniscono e divengono forza, in cui le funzioni si stratificano. L’intento è quello di inaugurare nuovi modi di praticare lo spazio nel quartiere Alessandrino, realizzando nuovi punti di riferimento nel panorama, che consentono l’insediamento di realtà che possono avviare nuove maniere di frequentazione della zona.
Il solco del terreno è il flusso di unione tra i due assi trasversali di via dei Meli e di via degli Olmi, così la forte linearità del contesto continua a moltiplicarsi nella nostra proposta; è come un movimento del vento tra le fronde degli alberi, un varco sinuoso nel suolo che disegna il movimento della terra, un disegno capace di evocare immagini, sollecitare e stimolare nuove esperienze. La linearità proposta è però, a differenza delle altre, a un livello più basso, si pone al di sotto del tessuto urbano e lo esplora dal suo particolare punto di vista. Tutto è un unico gesto, una sola movenza sinuosa, morbida, che si adatta alla naturalità dell’elemento “terra”. Così il morbido taglio, i continui flussi e le grotte rispondono tutti alla stessa esigenza e rendono ibrido lo spazio che si arricchisce di tutti i suoi componenti, creandone una chiara estensione. Il carattere frammentario e contraddittorio della zona oggetto dell’intervento rende indispensabile delineare uno scenario, inserendo il processo di riqualificazione urbana all’interno di una più ampia strategia urbanistica. Uno scenario che sappia rispondere alle domande del cittadino e sappia prefigurare il destino del quartiere Alessandrino, così come il quartiere vuole e chiede. La proposta nasce dalla ridefinizione della trama viaria, restituendole orientamento e riconoscimento nel tessuto urbano, che permetta di stabilire una gerarchia degli spazi. Un nuovo sistema flessibile e adattabile alle esigenze, che consenta di agevolare la mobilità tra i diversi nuclei e permetta di dotare il quartiere Alessandrino di un sistema di infrastrutture strategiche.
Allora parallelamente al viale Palmiro Togliatti, che è il grande sistema di attraversamento rapido, e al viale Alessandrino, centralità urbana, si propone il progetto del centro, linearità culturale e sociale; nello stesso tempo, mediante la trama trasversale, quella di via delle Susine, via dei Meli e via dei Mirti, si aggancia da un lato al quartiere Tor Tre Teste e dall’altro al parco Alessandrino. L’infrastruttura urbana riscopre il paesaggio esistente e ne valorizza i segni, e così l’antico Acquedotto Romano evolve da segno di divisione a spina dorsale della struttura, attraversa il paesaggio in una sequenze di esperienze visive e potenzia la trasversalità della seconda trama evidenziata. È il suo asse portante e di quest’area “che rifluisce di ricordi la città si imbeve come una spugna e si dilata”. Il percorso della memoria è la volontà di fare del monumento una parte della città vissuta (o vivente!), non solo un segno della storia, ma soprattutto un modo in cui il presente interpreta il passato, ascoltando la sua voce; ma questa volta senza tacere, dando risposte, dando una risposta contemporanea che permetta all’Acquedotto Romano di rivivere nella sua bella città. La water way assume il senso della memoria che si innesta nel presente. L’Acquedotto riacquista il suo ruolo di importanza; non più il peso della storia, non più il pezzo della bella città in una Roma che non lo interpreta, ma collegamento fisicamente imponente, connessione reale.

Tutta la piastra in superficie, che è la copertura del centro culturale-sociale, è la zona destinata a molteplici usi e funzioni trasformabili; quali i parcheggi pubblici e pertinenziali che sono posizionati in parte, in prossimità dell’istituto professionale, e per l’altra parte, sul lato opposto in collegamento con il polo sportivo; il verde ricreativo, i giardini e le zone pubbliche che diventano anche affacci verso le due realtà che incrociano. Da una parte l’evidente monumentalità dell’Acquedotto Romano e la quotidianità del quartiere con tutte le sue contraddizioni; mentre dall’altra l’essere più “mite” del nuovo centro, sul quale affacciarsi e vivere lo spettacolo della società che lo popola, meditare sulla nuova realtà e goderne così come di fronte ad un monumento.

La logica compositiva è legata alla volontà di fare un progetto in cui sia il terreno a dettarne le leggi e a creare un sistema forte, capace di orientare e di orientarci. Gli spazi aperti scorrono fluidamente attorno ai volumi, sfiorandoli in un sinuoso procedere che li avvolge, nel quale viene inglobato l’istituto professionale esistente. Quest’ultimo riceve un ampio spazio verde fatto dal tetto-giardino del centro culturale sottostante.

Immaginando di trovarsi al suo interno, lo spazio è percepito come un “unicum”, dove interno ed esterno sono la stessa realtà, dove i piani si intrecciano, le visioni si compenetrano e si innestano nuovi giochi prospettici. Uno spazio in cui le tre dimensioni si riducono a una sola, in cui il percorso non si distingue dalla sosta e in cui il visitatore possa liberamente godere della polifunzionalità dello spazio, senza alcuna barriera. La genesi delle forme è ispirata alla morbidezza della natura, l’acqua prima genera la forra nella terra e poi le grotte in essa nascoste, che appaiono irregolari, tortuose, ma allo stesso tempo quasi disegno spontaneo.

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